Dal vicus Wallari alla distruzione del borgo di San Genesio

Verso la fine del VII secolo, nell’area prima utilizzata per la lavorazione dei metalli viene impiantata una strada inghiaiata, forse la Francigena. Quasi contestualmente si dà avvio alla costruzione della chiesa di San Genesio, attestata da un documento del 715.

Intorno all’edificio si forma un nuovo cimitero mentre la vecchia torre viene ampliata con un abside e diventa probabilmente il battistero della chiesa. Nel IX secolo, a nord e a est della chiesa si impiantano una serie di strutture per la produzione di ceramiche dipinte con ingobbio rosso, altre per la spremitura dell’olio e forse per la produzione del vino e dei cereali. Potrebbe trattarsi dell’azienda agricola che il marchese di Tuscia possedeva in quest’area e che è ricordata in un documento dell’890. Alcuni denari in argento della zecca di Tour e di Orleans rispettivamente a nome di Carlo Magno e di Carlo il Calvo testimoniano come nel IX e X secolo l’insediamento fosse un centro nevralgico del potere regio e marchionale.

All’inizio del X secolo viene ricostruita la pieve nella forma di una basilica a tre navate absidate. Questo grande investimento avviene probabilmente a seguito della donazione della decima dell’azienda agricola di San Genesio al vescovo di Lucca, che decide di spendere risorse ingenti in questo luogo strategico per il controllo del Valdarno, posto lungo la via Francigena. Si riorganizza anche il cimitero che va a occupare anche l’area prima utilizzata per la produzione della ceramica. L’importanza del sito come tappa (submansio) della Via Francigena è testimoniata, tra l’altro, dal resoconto di viaggio di Sigerico, arcivescovo di Canterbury, che la ricorda, tornando da Roma, come ventiduesima tappa dell’itinerario, dopo Chianni e Coiano.

All’inizio dell’XI secolo la pieve viene ulteriormente ingrandita, spostando la facciata verso ovest. Viene realizzata anche una cripta a oratorio cui si accede attraverso due scalinate poste nelle navate laterali. Alla metà del secolo viene realizzato un corpo di fabbrica, forse la canonica, che delimita a ovest uno spazio aperto dotato di pozzo, ancora oggi ben visibile. La ceramica rinvenuta è quasi tutta di produzione locale, quella importata proviene dalla zona di Pisa, come anche tutti i bellissimi oggetti in vetro, utilizzati per l’illuminazione della pieve.

Alla fine del XII secolo la pieve viene ulteriormente arricchita, in facciata, con tarsie di marmo e serpentino, e nell’area presbiteriale, dotata di un più ampio accesso. Vengono costruiti nuovi edifici, a nord e sud del complesso religioso. Lungo l’attuale via Capocavallo una taverna con magazzino annesso,  realizzata con pareti in terra e copertura di coppi, dotata di focolari interni. Dall’area della taverna provengono numerosi esemplari ceramici da mensa e da cucina: brocche, boccali, vasellame rivestito di importazione mediterranea, catini e orcioli per la conservazione degli alimenti; per la cottura dei cibi, oltre alle olle e ai testelli, compaiono nuove forme come i tegami, simili alle casseruole, e i paioli, per la cottura in sospensione. Un altro grande edificio, di incerta funzione, viene costruito lungo l’attuale strada Tosco Romagnola. Vicino alla taverna, all’inizio del XIII secolo viene impiantata l’officina di un fabbro. Le monete testimoniano di un grande dinamismo commerciale, con esemplari della zecca di Lucca, di quella federiciana di Pisa o della zecca di Firenze, ma anche monete extraregionali, con esemplari dalle zecche di Salerno, di Normandia e di Narbonne.

Nel 1248 il borgo fu distrutto dagli abitanti del castello di San Miniato. La chiesa fu invece risparmiata e iniziò ad essere spoliata solo tra il XIV e la metà del XV secolo. La spoliazione non determinò comunque la fine dell’uso cimiteriale dell’area, anche se questo si fece sporadico. A partire dalla seconda metà del XV secolo l’area prima occupata dalla chiesa inizia a essere occupata per scopi agricoli, come dimostrano le tracce allungate delle arature rinvenute durante lo scavo.